Per te, mia coscienza, e per me,

è riservata un\'isola nel futuro

dove ogni radice ha la sua frontiera.

 

Per quel giorno avrà cessato il cuore

di parlare per bocca del tempo;

le cose saranno cose

i miei occhi sapranno corteggiarle

e ogni parola avrà

la sua verità o la sua forca.

Il mare potrà allora

affacciarsi ai miei occhi

a pettinare le sue navi.

Sarà come questa poesia

quando finirà con la parola nome:

vento di una miniera

che nel sogno si chiude

lascandoci dentro,

vulcano

che sul nascere si scioglie.

 

Per te, mio cuore,

perché tu resti sempre con te

ho scelto il rumore delle lettere

quando allungano i loro corpi

per formare il tuo nome.

  

Di quale tutto sei,     

piccola mia,

l\'atomo più bello?

  

Forse non è in loro, nelle cose,

bussole folli

che viaggiano occultando

il magnete del bello,             

né in me, in nessuno dei me,

che a volte sono io e si sbaglia.

 

Si sofferma la luce universale

a spargere chincaglierie

sull’arazzo del mondo.

Nel suo argento vivo, nel suo collante

ci trasforma,

nel dono di incorniciare

la linea e la materia,

unione di luce e territorio

sognato, fusione del colore

e della forma,

del labbro col suo bacio

col suo labbro.

 

Se stiamo nelle cose è per provare,

vedere se tra loro e quel che siamo

qualcosa accade, si orienta la strega,  

uno di qui risolve la serata.         

  

 

Sembra che la luce abbia una eco 

quando viene costeggiando il pendio

e s’imbatte in una jaguar verde

demolita sulla collina.                   

Lei stessa gli ha rubato

il colore e i copertoni      

che una volta erano d’acqua                                 

come il telaio delle Bianchi.

 

Quel che è

sembra dovere     

il  suo sogno

al presente,

alla luce universale

e nitidata.

 

Scende un angelo e si giustifica:

gli anelli si ossidano

sotto il loro stesso peso,

la malinconia visita

chi non sa cosa fare   

con il centro del centro,

il cuore del cuore,

i puzzle si riportano indientro

nelle scatole, smontati.

 

  

Ah il tema del corpo!

Quanto ho parlato! E cosa non ho detto...!

Davanti a un bicchiere, cucinare l’aria.   

 

Un’altra generazione di filologi

inciampava nello stipo,             

nella bici,

nell’antico lindore di casa mia          

nella città dei cento poeti.

 

L’ospite costruiva un flusso

ordinava analisi:

 

mantenersi in equilibrio sulla ragione,          

come un capitello senza più volute,

autentico,

mi confonde, rende poco.            

Piuttosto, essere come la sera, la casa;

un catino rovesciato.

  

 

La targa di marmo

nella casa del saputello:

 

«Così parla la gente

che non sa leggere né scrivere

la gente che io amo.

 

Così voglio scrivere io

come la gente che non sa leggere né scrivere,

come la gente che più amo».

 

Questo sarà un po´

come quello che fate voi poeti, no?

che rubate le battute alla gente

e poi dite che tutto è del popolo,

e mischiate verità con menzogna

che ormai nulla è di nessuno...